Quando il cambiamento fa paura
Il nostro mondo cambia, è cambiato, cambierà, non è mai stato uguale a sè stesso, se non nella sua capacità di mutare continuamente, obbligandoci a continui adattamenti, alcuni facili, altri molto meno, perché cogliere qualcosa di nuovo ci obbliga a lasciare andare ciò che è vecchio, che abbiamo amato, che ci ha consolato, rassicurato, forse odiato, ma sicuramente costituito per una fase intera della nostra vita.
Cambiare, azione quasi impossibile, a volte apparentemente facile nel simulare un cambiamento, faticosissima nel creare vere e concrete visioni nuove, perché ciò che abbiamo vissuto nella vita, ha creato memorie emotive, fisiche e mentali, ci hanno fatto scegliere il nostro partner, ci hanno mantenuto in relazioni disfunzionali, ci hanno fatto adattare a lavori che non sentiamo nostri ma che rassicuravano i nostri genitori e la nostra parte che fatica a diventare grande e padrona di sé.
Chi sceglie di fare un percorso di psicoterapia, spesso arriva per un malessere specifico: attacchi di panico, una fobia, una dipendenza affettiva. A volte invece la persona è più consapevole di sé e viene per un motivo “confuso” o forse “diffuso”, che pervade il proprio essere, che non permette l’evoluzione e il cammino sereno che la persona sente di poter fare.
In questi anni di professione, che nella mia professione si intreccia SEMPRE nel cammino personale del terapeuta , mi sono reso conto in modo quasi “solido” che il malessere, l’ansia, il panico, la depressione e qualsiasi cosa che limita la persona, non sono mai malattie, ma sono sempre la semplice resistenza al cambiamento.
Ogni essere vivente funziona con le stesse leggi. Una pianta, un gatto, una montagna, noi, tutti, funzioniamo allo stesso modo. Siamo spinti da continui cambiamenti ad una crescita e a continui assestamenti evolutivi.
Qualche tempo fa, passeggiando in un bosco vicino a casa, mi sono fermato ad osservare una casetta abbandonata che era stata inghiottita dalla vegetazione. Affianco alla casa c’era un albero di qualche decina d’anni, che crescendo, aveva sfondato un pezzo di muro che bloccava la sua crescita.
Li, ho cercato di immaginarmi l’albero e la casa secondo le loro forze interne, vive, con una propria intelligenza e struttura, sentendo che la crescita dell’albero avesse trovato un limite alla sua INEVITABILE CRESCITA.
L’albero, esattamente come noi, ha un suo progetto, una sua crescita inevitabile, inarrestabile che però trova dei limiti, degli ostacoli, che spesso riesce a raggirare, altre volte invece l’unica cosa che può fare è spaccare e farsi strada, per trovare nuova luce, NUOVI ORIZZONTI.
Noi funzioniamo allo stesso modo. Chiunque di noi sa quanto forti fossero le spinte evolutive che sentivamo da bambini e da ragazzi, quanto fossero forti e percepiti come ingiusti i limiti e gli insegnamenti forzati delle nostre famiglie. Non che fossero ingiusti realmente, lo erano però per il sentire di quel momento, in quel nostro momento di libertà e autonomia.
Perchè ci facevano così male i limiti, gli orari, gli insegnamenti religiosi e tutto ciò che comportava una limitazione della nostra libertà? Perchè la natura non vuole limiti, perché dentro di noi c’è una spinta evolutiva che ci spinge ad avere di più di ciò che appagherebbe, che ci sfamerebbe dalla nostra “fame” emotiva.
Non si basa su questo d’altronde il nostro sistema immunitario? Ci sono parti di noi che a volte silenziosamente e a volte in modo molto doloroso, lottano contro gli attacchi esterni a qualcosa che non appartenga al nostro sistema biologico.
Allo stesso modo, la nostra natura cerca di disvelarsi come può, di vivere la propria spinta evolutiva e biologica inarrestabile ma che vive delle limitazioni esterne, culturali, normative, economiche, emotive, affettive e psicologiche. Ma quindi la soluzione è l’anarchia? Il fare ciò che vogliamo sopra tutto e tutti, incuranti delle conseguenze delle nostre azioni, delle ripercussioni sull’altro e sul nostro mondo circostante?
Un antropologo un giorno in un suo viaggio in India si imbattè in un allevatore di elefanti. Vedendo la mole dell’animale che sottostava ai comandi del minuto ammaestratore, gli chiese come fosse riuscito a crescerlo facendogli accettare di sottomettersi ai suoi comandi, nonostante la sua forza potesse permettergli di ribellarsi quando voleva. Così, l’ammaestratore rispose semplicemente :”posso farlo solo perché sono in catene fin da neonati”. Non vale la stessa cosa per noi? Non abbiamo anche noi tante piccole o gigantesche catene emotive e psichiche? E come sarebbe il mondo umano se ogni società non avesse creato le proprie catene funzionali alla convivenza?
Ognuno di noi sa quanto doloroso e faticoso sia fare qualcosa che non sentiamo proprio, non funzionale alla nostra biologia. Fare un lavoro alienate, andare a lavorare il lunedì, tornare a lavorare dopo 15 giorni di ferie, forzarsi a pranzi con parenti che tolleriamo solo perché essere parenti, festeggiare qualcosa che non sentiamo festa, non fare qualcosa perché dentro di noi risuona la frase “non si fa!!, non farmi fare figure!!”.
Ma cosa c’entra tutto questo con i nuovi orizzonti? Con la costruzione di nuovi modi di vivere?
Chi ha letto “Se questo è un uomo” di Primo Levi, non può non essere stato colpito dal fatto che lui in quel mondo di disperazione, avesse mantenuto una sua vitalità interna, un suo tentativo di osservare le leggi di quel mondo, mantenendo acceso il proprio spirito, mentre centinaia di migliaia di persone erano diventate zombie, esseri che camminavano ma si erano assentate da sé stesse per sopravvivere a tanto dolore e sofferenza.
Perchè ci riusciva? Perchè sapeva che al di fuori di quei recinti spinati e di quelle mura, la vita andava avanti, c’erano famiglie che viaggiavano, bambini che giocavano, c’erano negozi aperti, ristoranti, coppiette che si innamoravano e facevano l’amore, c’era un altro orizzonte.
Forse il mio essere pavese mi aiuta a comprendere la convivenza di altri mondi possibili ma non visibili.
A Pavia il cielo non si vede per molti mesi all’anno, coperto da foschia d’estate e grigiore in inverno, però poi basta fare 20 km verso Milano o verso sud e spunta il sole, e quella visione che era totalizzante fino a 15 minuti prima sparisce.
Compaiono le Alpi verso nord, le colline con i vigneti verso sud. Spunta il sole dopo chilometri di nebbia o un cielo carico di nuvole, ma tutto è li, limpido davanti a te.
Tutto prende una nuova visione, un nuovo mondo che senza muovermi non avrei visto e non avrei sentito. Noi esseri umani siamo dei privilegiati rispetto a quell’albero che ha dovuto sfondare un muro per crescere, e chissà con quale fatica e a che prezzo ha potuto farlo.
Possiamo spostarci!!! Abbiamo le gambe per farlo, per toglierci dalla traiettoria dei limiti che incontriamo, esterni ed interni, così come abbiamo anche la capacità di poter accettare dei limiti funzionali allo stare con gli altri, perché siamo animali relazionali, bisognosi di relazioni, calore e amore esattamente come necessitiamo di aria e cibo.
Durante una mostra di Picasso ormai molto anziano, un signore chiese al maestro di fargli un disegno improvvisato. Picasso in un secondo disegnò un fiore stilizzato, una “semplice” margherita. Un critico d’arte li presente lo avvicinò e gli chiese :”scusi maestro, ma ha fatto solo un fiore??!!” e il maestro gli rispose “solo un fiore? c’ho messo tutta una vita per farlo!!”.
Pingback: Di Goffredo Bordese: visioni nuove, resistenze vecchie. – AUACOLLAGE