Il bisogno di sbagliare per imparare. Pensieri per un (primo) anno nuovo

Ci stiamo avvicinando alla chiusura dell’anno, momento di riflessioni, bilanci sui propositi mantenuti e su quelli falliti, riflessioni su chi eravamo, avremmo voluto essere  e su ciò che siamo realmente. Così, pensando ai buoni propositi mi è venuto in mente un episodio.

Durante una visita ad una comunità che si occupava del recupero di ragazzi tossicodipendenti, un ragazzo accolto ha chiesto alla responsabile “quanto tempo ci vuole ad uscire dalla dipendenza?” e lei rispose: “secondo ciò che ho visto, lo stesso tempo che si è stati dipendenti”.

Tra il 1929 e il 1930  Freud scriveva una delle sue opere fondamentali” il Disagio della Società”. In quest’opera descriveva la lotta tra le istanze interne all’individuo che tendono alla libertà e alla distruzione di schemi e di  vincoli e la società, che con le sue regole e dogmi, plasma,  limita e dirige gli individui a favore di una vita più regolare, prevedibile, ma frustrata  e nevrotica.

Una volta le  pressioni sociali erano fortissime ed era difficile metterle in discussione.Per uscire dal coro o dai voleri familiari, ci si ritrovava a fare gli hippy ,si sposava una  filosofia orientale che disdegnava ogni forma di comodità, oppure ci si uniformava al volere del “Padre” rinunciando ad ogni ambizione personale.

La società formalmente è cambiata, il potere della chiesa e della religioni è inferiore da un punto di vista psicologico e repressivo nella moralità dei singoli individui, viviamo in  un lusso inimmaginabile e ogni cosa è a portata di mano.

Apparentemente siamo tutti molto più liberi e infinitamente più benestanti dei nostri nonni, facciamo lavori meno faticosi e per loro impensabili,  possiamo vivere più serenamente un nostro orientamento sessuale e separarci se non siamo felici e appagati nella coppia.

La società così come può inibire e limitare, stimola il cambiamento. Si cambia in massa adagiandoci sulla novità, il consumismo, il nuovo partito, il nuovo telefono, il nuovo elettrodomestico, il nuovo tipo di famiglia, la nuova dieta.

Prima tutti sposati, poi boom di separazioni per cercare il vero rapporto di coppia, poi ritorno al matrimonio. Prima tutti carnivori e divoratori di schifezze,  poi animalisti, intolleranti a farine che fino al giorno prima erano il nostro alimento principale; per non parlare delle religioni e delle mille filosofie che ci danno propongono un senso alla nostra presenza.

Siamo passati dall’avere una sola religione nel nostro paese a mille sfumature di spiritualità. Come sempre il mondo sposa la novità, la nostra mente cerca soluzioni immediate che si illude di trovare per poi riflettere, andare dalla parte opposta come quando ci si intossica e si mangia in bianco per depurarsi riprendendo poi uno stile più sano, rispettoso e consapevole di sè. Questo succede con il cibo, le amicizie, la politica, i social. Ogni volta ci si butta in qualcosa per la novità, il bisogno biologico di emozioni appaganti, imparando che poi alla fine facciamo sempre la stessa cosa, ma con strumenti diversi.

Quindi? Cosa ci manca? Dov’è la causa del nostro perenne vuoto che cerchiamo di colmare compulsivamente  con oggetti, persone, social, dipendenze,   filosofie orientali e con la ricerca di ingredienti a km zero derivati da un’agricoltura sostenibile per sentirci più buoni?

Da un punto di vista clinico le motivazioni che spingono le persone ad andare in terapia e a chiedere un supporto ad uno psicologo cambiano in funzione della società che stiamo vivendo.

Nel periodo in cui la psicanalisi nasceva,  si rivolgeva ad una società repressa, nevrotica, schiacciata da regole troppo severe e famiglie troppo normative, negli anni ottanta e novanta i disturbi alimentari, oggi il disagio principale vissuto è il panico, l’ansia, lo stress, la velocità, l’assenza di limite .

Informarsi una volta era infinitamente più difficile; solo recuperare un testo era difficile, così pensare di trovare un libro che ci informasse sui nostri quesiti più insoliti e profondi. Ora con un click dalla metropolitana, in attesa dal medico o al semaforo rosso (cosa che non dovremmo fare ma non tolleriamo limiti se non con sanzioni come se fossimo cani ammaestrati) possiamo scoprire cose che non sapevamo, ricercare informazioni che possono modificare i nostri giudizi, migliorare le nostre conoscenze su cibo, rapporti umani, effetti collaterali di un farmaco o caratteristiche degli sci che vorremmo usare per la prossima  stagione invernale.

Mi informo, mi adeguo al nuovo input, quindi esisto.

Un conto è però cambiare un abitudine, scardinare un pregiudizio, aggiornarsi sul nuovo. Altro è cambiare davvero in armonia con il nostro io.

Guardarsi, accettarsi e creare una nuova identità più onesta e più realmente sostenibile da noi stessi.

Insomma, oggi più che mai le cose dipendono da noi, dalla nostra voglia di boicottare la nostra pigrizia, la nostra parte malata ed assuefatta, ad uscire dal girone dantesco  degli “ignavi”, coloro che non prendono mai posizione e che vivono in funzione delle loro abitudini e di ciò che è meno rischioso delegando sempre la colpa alla vita, al prossimo, alla speranza ma togliendo se stessi dalla causalità degli eventi.

Non è questo un invito ad agire, a “fare” in modo compulsivo, ma a prendere una posizione circa se stessi in funzione del mondo che ci circonda, di tutto ciò che viviamo, scegliamo, che dovremmo vivere in modo attivo e non passivo. Scegliere e non farci scegliere dalle circostanze, con sguardo indulgente ma fermo, sempre in funzione di ciò che siamo davvero in grado di fare e sostenere.

Ecco, forse l’anno nuovo potrebbe iniziare con un piccolo motto, per quanto possano essere facili e scontati gli slogan : “essere presenti“.

Presenti con sè, presenti in ciò che stiamo facendo. La nostra velocità ci porta ad essere con un amico a cena e chattare contemporaneamente, ad essere con la compagna e pensare al lavoro, ad essere con i figli e non essere li emotivamente e spesso nemmeno con il pensiero. Insomma, tutto ciò che ci serve in fondo è gratis, non ha bisogno di un’app, di un abbonamento o di indumenti tecnici che ci fanno sentire più informa solo per il fatto di indossarli.Potrebbe essere un bell’obiettivo con se stessi.

Un anno più presente, senza motti retorici sul cambiamento, facili slogan su diete che non faremo, atteggiamenti che continueremo ad avere.

La psicologia ci ha portato a legittimare tutto diventando sempre più astratti, teorici, fumosi, perdendo così il semplice nesso causa effetto: se mangio male sto male, se bevo male sto male, se frequento persone che mi mettono a disagio sto male.

Insomma, tutto abbastanza semplice (sulla carta) , basta fermarsi, avere il coraggio di dirci chi siamo, cosa vorremmo,rischiando di provare ad essere più sereni e memori che una parte di noi vorrà indugiare, ripetere ciò che ha fatto per decine di anni.

“Ci vorranno anni”, affermava la  mia collega a quel ragazzo.

Quindi, di che scusa abbiamo bisogno per non iniziare quest’anno?

1 pensiero su “Il bisogno di sbagliare per imparare. Pensieri per un (primo) anno nuovo”

  1. Sono d’accordo.
    Nulla ha valore se manca il il coraggio che non è proprio di tutti e , purtroppo, il nostro bel, lussuoso ( ma dove?) sistema sembra proprio avere come obiettivo di svuotarci dal coraggio. Perchè non iniziare quest’anno, magari adesso, preparando presepi, alberi, lucine e stelline, a volerci un pò di bene? Oggi dicevo ad un’amica che, per chi deve imparare a volersi bene, quello che sembra un gran traguardo d’amore verso se stessi è solo un infinitesimo. Però è già qualcosa! Ma grazie Doc!

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