Piccolo prontuario per ascoltarsi nella paura e nell’ansia
Come spesso succede l’etimologia delle parole ci aiuta più di qualunque altra cosa a comprendere il significato profondo di una parola.
La parola “panico” deriva dal dio Pan, figura mitologica dei boschi con le sembianze di una capra che creava un profondo stato d’angoscia e di terrore, generando nei soggetti terrorizzati la perdita della ragione.
Ecco, questo è il punto centrale, l‘emozione che acceca la mente, la perdita della ragione. L’emozione non è soggetta alla volontà. Quando una persona è in panico o è in uno stato emotivo totalizzante, nessun elemento razionale può aiutarlo. Tutti noi lo sappiamo benissimo; quando si è innamorati alla follia non si capisce più nulla nonostante il mondo ci dica cose ragionevoli che poi scopriamo essere vere ed evidenti, quando si è terrorizzati ogni elemento ragionevole è del tutto inutile, quando siamo influenzati da qualche credenza (scaramanzia, superstizione, estremismi religiosi, ecc.) ci sentiamo obbligati ad eseguire rituali per esorcizzare le nostre paure ed evitare le conseguenze che temiamo.
Le ultime statistiche dicono che almeno 10 milioni di persone in Italia hanno provato l’esperienza di un attacco di panico. A mio personalissimo avviso credo che la statistica sia estremamente riduttiva, semplicemente quei milioni di persone hanno contattato il servizio sanitario nazionale.
Ognuno di noi ha provato innumerevoli esperienze d’angoscia e di totalizzazione emotiva in cui la ragione nulla poteva fare. Proviamo a pensare ad un’interrogazione con una professoressa che ci metteva in uno stato di soggezione (stare sotto, subire, essere sottomessi all’emozione), a quando abbiamo rischiato di affogare imparando a nuotare, quando ci hanno tamponati o quando ci hanno comunicato una brutta notizia inaspettata.
A mio avviso da bambini le sensazioni di panico le viviamo in continuazione, solo che spesso non ce le ricordiamo da adulti. Chi ha figli o ha visto un bambino piccolo nella sua quotidianità, sa la reazione di un bambino quando si risveglia in una stanza diversa da quella in cui si è addormentato o quando non trova una figura rassicurante che possa consolarlo immediatamente.
Tutte queste emozioni creano una memoria e non parlo di una memoria cognitiva, qualcosa che possiamo ricordare; parlo di una memoria corporea, una memoria immagazzinata nel nostro sistema nervoso, nei nostri muscoli, nel nostro modo di respirare (respiro corto, toracico, ecc) e che salta fuori quando ci succede qualcosa che SIMBOLICAMENTE ci fa rivivere la stessa situazione.
Il panico, la paura e QUALUNQUE emozione totalizzante è immensamente più potente della ragione. L’emozione si radica in strutture biologiche arcaiche, infinitamente più antiche di quelle della ragione, vecchie solo poche centinaia di migliaia di anni. E’ la nostra parte animale che si blocca e di certo un bambino saputello con gli occhiali spessi non potrà calmare un dinosauro disperato di 20 tonnellate .
Quel bambino saggio, sapiente, è pieno di nozioni verissime ma teoriche che saranno utili dopo il panico, per creare una consapevolezza necessaria per la prossima emozione totalizzante. Ecco perché è ridicolo dire a chi sta male: non ci pensare, esci, vedi persone, piantala, su forza…certo, parole giuste quando si sta bene, ma totalmente inutili quando l’emozione sostituisce la ragione.
Il panico e il dolore sono un regalo che il corpo ci fa. E’ come se in noi ci fossero due parti: una sana, innamorata della vita e di noi, impegnata a farci risorgere e a farci diventare protagonisti della nostra vita e poi un’altra parte, estremamente più potente, perché si nutre di una memoria molto più profonda, che desidera mantenere le cose come le conosce, seppure esse creino dolore. La parte sana ci dice basta!!!! cambia vita!!! fermati!!! tu non vuoi guardare cosa ti fa male e allora ti fermo io!!!!! La nostra parte sana utilizza l’unico sistema che ha a sua disposizione per farci riflettere, il dolore.
E’ come se stessimo mangiando dei funghi buonissimi, che però per qualche strano motivo sono diventati velenosi e tossici per noi. Il corpo ci manda i suoi segnali: si ingrossa la lingua per interrompere l’introduzione di cibo, ci fa vomitare il cibo per noi mortale, ecc. Ma quei funghi sono buoni, li conosciamo, è qualcosa che abbiamo sempre mangiato e che ci ha sempre nutrito.
L’abitudine ci fa continuare a fare qualcosa di dannoso per l’evoluzione di noi stessi, non vogliamo cambiare, mettere in discussione il nostro lavoro per quanto schifo ci faccia, perché è sicuro, stabile, così il nostro rapporto di coppia, ormai logoro e perfetto per il mantenimento delle nostre insicurezze ma non più utile a quella parte di noi che cerca di evolversi.
Molti dei miei pazienti sono studenti fuori sede che grazie alla distanza dalle loro case e affetti, sentono un forte disagio crescere. Quel disagio guarda caso aumenta quando tornano a casa per le festività o la pausa estiva (vedi piccola riflessione sul dolore emotivo…) e quando poi queste persone si allontanano da casa, il panico sopraggiunge ancora, più forte. E’ come se ci fosse un guinzaglio invisibile.
Ti credi libero, ma appena ti allontani troppo, il guinzaglio ti strozza e ti fa soffocare, l’ansia non ti fa capire più nulla. Il dolore, la paura di impazzire (sintomo) sono così forti che non ti fanno sentire il perché sottostante, anche perché non si giustifica così tanto malessere per relazioni con persone o situazioni che amiamo, che ci hanno amato, che ci hanno protetto e che ci danno comodità e una sensazione di benessere (partner, famiglie, lavori, percorso di studi, amicizie, ecc. ).
Con questo non ho la minima intenzione di cadere nel luogo comune di dare la colpa alla famiglia, tutt’altro. I nostri genitori, con limiti identici ai nostri ma con la responsabilità di averci allevato e cresciuto come sapevano, come gli hanno insegnato, hanno fatto ciò che potevano.
Ecco perché in terapia trovo utile parlare del passato, ma ad un certo punto credo che dobbiamo scegliere che vita vogliamo. Possiamo passare la vita ad autocommiserarci e ad accusare qualcuno o qualcosa per ciò che abbiamo vissuto, oppure possiamo decidere di vivere e di prendere in mano la nostra vita, con gli strumenti che abbiamo, cercando di buttare lo sguardo molto al di là di ciò che riusciamo a vedere.
Ecco, ad un certo punto dobbiamo scegliere a mio avviso. Se farci dominare dai nostri limiti, paure, rituali, abitudini o se provare ad andare un po’ oltre e vedere cosa succede.
Il panico e QUALUNQUE momento di totale dominio emotivo, si supera così, cercando di fidarsi di milioni di anni di evoluzione, cercando di fidarsi del messaggio che il nostro corpo e la nostra mente (li separo per convenzione ma non esiste una separazione. Il mal di schiena, così come un’ulcera, un tumore o una cervicale, sono funzionali ad un sistema disfunzionale che cerca di trovare un equilibrio meno doloroso per noi).
Ora dopo essermi dilungato così tanto in questa riflessione, a mio avviso necessaria per comprendere “cognitivamente” le ragioni dello stato di panico e di qualunque malessere totalizzante, vorrei dare alcuni consigli molto pratici per superare e ridurre il panico ed evitare la sua cronicizzazione.
Il panico fisiologicamente non dura più di 15/20 minuti, sicuramente interminabili per chi lo vive (e lo dico per esperienza, non arroccandomi in statistiche mediche), ma assolutamente terminabili, perché sono misurabili 20 minuti, sono un dato certo in uno stato emotivo che rende tutto incerto e nebuloso.
Quando iniziamo a stare male, quando abbiamo un attacco di panico, un disturbo ossessivo, un rituale, uno stato d’angoscia, la paura di impazzire, la paura di un luogo affollato, di leggere in pubblico o qualunque altra paura, DOBBIAMO SOLO RALLENTARE. RESPIRARE PROFONDAMENTE (con l’addome, dobbiamo ripristinare il rapporto tra sistema simpatico e parasimpatico, ossia il modo che il corpo usa per superare un evento traumatico), EVITARE DI CHIEDERE AIUTO come se volessimo che qualcuno si sostituisse a noi. VIVERE IL PANICO ATTENDENDO.
Ascoltiamo cosa ci sta succedendo e per farlo dobbiamo rallentare, respirare e osservare cosa ci succede. Il panico ci chiede di fermarci, NON CI DOBBIAMO FERMARE, dobbiamo solo rallentare, camminare più lentamente, andare in prima corsia e andare avanti piano, ecc.
Il PANICO ARRIVERA’, durerà pochi minuti, per noi interminabili, momenti in cui penseremo di impazzire, ci vergogneremo, vorremo chiedere aiuto ai nostri genitori, ad un amico, al nostro partner. NON DOBBIAMO CHIEDERE AIUTO QUANDO SIAMO IN PANICO, perché è come se dessimo da mangiare ad una parte malata di noi.
La rinforziamo, la alimentiamo e se non viviamo il panico, la nostra parte sana dovrà alzare il tiro, dovrà farci vivere un panico ancora maggiore, dovrà accorciare quel guinzaglio invisibile, facendoci rinunciare ad uscire di casa, a fare cose assolutamente normali, ridurrà il nostro mondo fino a farci soffocare pur di essere ascoltato.
Ascoltiamo il panico, non giudichiamoci, non insultiamoci perché siamo deboli ai nostri occhi, non troviamo soluzioni. Lui arriverà, lo supereremo osservandolo, non per sconfiggerlo, ma semplicemente perché vuole dirci qualcosa o vuole semplicemente rinforzarci e renderci più forti, autonomi, indipendenti.
Quando ci mortifichiamo è come se insultassimo un bambino che sta male e che usa la rabbia per esprimersi: aumenteremo soltanto il suo disagio e la prossima volta sarà ancora più violento. Dobbiamo avere compassione (non pietà) per quella nostra parte, guardarci con fare dolce, come se fossimo inteneriti e dispiaciuti da un bambino che urla disperato prendendo a calci gli stinchi del papà per essere ascoltato.
Nel Sesto Senso, meraviglioso film pieno di metafore e con un messaggio a mio avviso estremamente profondo, il terapeuta (Bruce Willis) chiede al bambino di ascoltare cosa gli vogliono dire i fantasmi che vede. Il primo tempo del film fa paura, il bambino è in panico, dominato dal terrore e dall’incomprensione. Scappa davanti ai suoi mostri prima che loro possano dirgli qualcosa.
Il secondo tempo diventa romantico, profondo, quasi mistico, perché a quel punto il bambino supera le sue paure, ascolta il messaggio dei suoi fantasmi per sistemare le cose. Noi funzioniamo esattamente così; una parte è terrorizzata e fa di tutto per scappare e riempire vuoti (droghe, alcool, FARMACI, social network, continue condivisioni alla ricerca di conferme, persone e rapporti che non amiamo ma conserviamo, ecc.), dall’altra sogniamo di evolverci, cambiare ed ogni evento diventa motivo per fare propositi su una nuova vita ed un cambiamento che dovrebbe arrivare magicamente da una persona inesistente ma desiderata, con soldi vinti senza aver mai giocato, con un corpo che non avremo mai, con una famiglia che non è la nostra.
Quindi, in sintesi la riflessione è semplice, gratuita. Non richiede terapeuti, non richiede farmaci (che spessissimo alleviano il sintomo costringendo il corpo a darci dolori sempre maggiori per farceli sentire). Basta ascoltarci, affrontare le nostre paure come fa il protagonista del Sesto Senso (e noi quando da bambini correvamo in bagno attraversando il corridoio di notte).
Non siamo mai morti, l’uomo nero non ci ha mai mangiati nonostante ne fossimo convinti ogni volta, così come la certezza che il nostro panico fosse un infarto era sbagliata. La mente ha bisogno di trovare una spiegazione e una soluzione immediata, il corpo ha un tempo diverso, ma propone una soluzione assolutamente risolutiva, una guarigione totale, immediata e gratis. Vuole solo che lo si ascolti e la si pianti di fare di testa nostra scappando dai suoi segnali dolorosi, ma d’altro canto lui non ha altri modi per parlarci e farci capire. Tanto vale provarci, è gratis ed è già dentro di noi la soluzione.
ti condivido…ottimi consigli i tuoi, felice di averti incontrato
Ti ringrazio davvero..Ricambio il piacere!
Gran bel post… e bell’analisi con suggerimenti annessi (utilissimi direi) 😉
molto difficile ascoltare le paure. Io scappo solitamente. Peró a piccoli passi sto cercando di imparare.
Bello, intenso e non schematico
davvero bellissimo questo blog GRAZIE infinite per i tuoi articoli….
“EVITARE DI CHIEDERE AIUTO come se volessimo che qualcuno si sostituisse a noi. VIVERE IL PANICO ATTENDENDO” : è l’esatto contrario di quello che faccio io che di solito sto guidando e di solito sono da sola e di solito chiamo mia mamma perchè mi distragga e il panico invece aumenta 🙂
Ho iniziato ad averli a causa di una pillola anticoncezionale, ho preso farmaci che alla fine ho smesso perchè ero certa di non aver niente…..ho eliminato la pillola e se ne sono andati. Ma come mai, spiegami, il cervello ha preso nota di come funzionano? E io che non e avevo mai avuti prima ora so che in certi momenti (di solito quando sono sotto forte stress psicologico a causa della malattia) sono lì pronti a scatenarsi di nuovo?
L’ha ribloggato su Polvere di stelle -Artrite reumatoide e non solo –e ha commentato:
Un articolo davvero molto interessante, utile e delicato 🙂
Buongiorno, le chiedo scusa ma mi sono accorto solo ora che i commenti non potevo visualizzarli. Grazie di cuore, mi spiace per i tempi di attesa!
Grazie della condivisione!!!!
Mi sono ritrovata in tutto..nei 20 minuti…nella necessità-urgenza di chiedere aiuto..
Buongiorno, le chiedo scusa ma mi sono accorto solo ora che i commenti non potevo visualizzarli. Grazie di cuore, mi spiace per i tempi di attesa!
Grazie!!! spero stia un po’ meglio…
Gran bel articolo i miei complimenti
Un attacco di panico provoca certi sintomi ben precisi come la tachicardia e la sensazione di avere un infarto, dispnea e sudori freddi. Quando la prima volta lo si prova e si arriva al pronto soccorso, non sapendo cosa ti sta succedendo, i dottori sviano il discorso parlando di stress come se la parola panico fosse tabu. Comunque spesso il panico arriva con immagini, a volte nello stesso momento della giornata e a volte a sorpresa.
L’attacco d’angoscia è molto diverso. È come se si aprisse un buco nel diaframma e questo stesse per assorbire tutta la fotza vitale. Non si può fare altro che rimanere stesi e aspettare che passi. Non c’è tachicardia e neanche immagini o sudori. Solo la sensazione che qualcosa dentro di te stia per essere assorbita o avvelenata.
Questa distinzione la descrivo perchè sono esperienze personali così profonde che dopo tanti anni so distinguerle bene.
Ho visto, leggendo molti testi, che quasi nessuno parla mai delle immagini riferite agli stati d’ansia. Non so se son state fatre ricerche in tal senso ma io non ho trovato nessun riscontro. Eppure in me gli attacchi son stati sempre preceduti da immagini, sfocate, ma che si ripetevano tutte le volte.
Lei ha mai letto di qualcosa del genere?